Babbo

INFERNO XXXII

“S’io avessi le rime aspre e chiocce,

come si converrebbe al tristo buco

sovra’l qual pontan tutte l’altre rocce,

io premerei di mio concetto il suco

più pienamente ; ma perch’io non l’abbo,

non sanza tema a dicer mi conduco;

ché non è impresa da pigliar a gabbo

discriver fondo a tutto l’universo,

né da lingua che chiami mamma o babbo.”

ETIMOLOGIA

Bàb/bo deriva dal latino babbus. Si tratta di una voce onomatopeica del linguaggio infantile, che, come “mamma” e “papà”, è costituita dalla ripetizione di una sillaba formata dalla vocale a e da una consonante bilabiale (p,b,m ).

La sua definizione non muta dalla prima alla quarta edizione del “Vocabolario degli Accademici della Crusca”, dove viene messo in luce che “dicesi solo da’ piccoli fanciulli, e ancora balbuzienti”; nella quinta compare invece una descrizione molto più esplicita: “è voce, per lo più, de’ fanciulli e, scrivendo, dello stile familiare e giocoso. Raddoppiamento della sillaba ba ch’è uno de’ primi suoni che con facilità articoli il fanciullo, e che ha analogia in quasi tutte le lingue”.

BABBO O PAPÀ

È bene sapere che il termine papà è un francesismo, utilizzato soprattutto nel nord Italia.

Nell’Ottocento era nata una vera e propria diatriba su quale termine fosse nato prima. Al tempo, infatti, soltanto i ricchi chiamavano papà il proprio genitore, mentre la bassa borghesia prediligeva la parola babbo, soprattutto nelle zone toscane.

A tal proposito Giuseppe Frizzi tentò di fare una distinzione:

«Padre è la voce vera e nobile, la quale si riferisce a tutti i padri in generale e si trasporta a significare paternità spirituale, e comechessia Colui che primo ha dato origine a una cosa. - Babbo è voce da fanciulli, ed è usata anche dagli adulti a significazione di affetto, e suol dirsi parlando del proprio padre o del padre di colui a cui parliamo. - La voce Papà è una leziosaggine francese che suona nelle bocche di quegli sciocchi, i quali si pensano di mostrarsi più compiti scimmiottando gli stranieri».

LE FIGURE PATERNE DI DANTE

Come è noto il padre vero e proprio di Dante fu Alagherio II, con cui l’autore ebbe un rapporto alquanto freddo e conflittuale. Fu questo a spingere il sommo poeta alla ricerca della figura paterna che individuò in:

  • Cacciaguida: suo trisavolo, che il poeta incontra tra gli spiriti combattenti, nel quinto Cielo del Paradiso; a lui chiede informazioni riguardo i propri antenati, la vita futura e sull’opportunità di riferire tutto ciò che aveva visto, anche al costo di crearsi inimicizie.

“Ma nondimen , rimossa ogne menzogna,

tutta tua vision fa manifesta;

e lascia pur grattar dov’è la rogna.

Ché se la voce tua sarà molesta

nel primo gusto , vital nodrimento

lascerà poi, quando sarà digesta.

Questo tuo grido farà come vento

che le più alte cime percuote;

e ciò non fa d’onor poco argomento.

Però ti son mostrate in queste rote,

nel monte e ne la valle dolorosa

pur l’anime che son di fama note,

che l’animo di quel ch’ode, non posa

né ferma fede per essempro ch’aia

la sua radice incognita e ascosa,

né per altro argomento che non paia”.

  • Virgilio: il poeta che nel medioevo era considerato profeta del Cristianesimo, poiché nell’”Egloga IV” scrisse che sarebbe nato un bambino in grado di riportare l’età dell’oro.

  • Guido Guinizzelli: definito dal poeta come padre suo e di tutti quelli che hanno usato rime dolci e leggiadre.

ROSSELLA GREGORI