Prof.ssa Lucina Alice
EPIFANIA
“Come dunque i pittori colgono la somiglianza dei loro soggetti dal volto e dalle espressioni degli occhi, dai quali si evidenzia il carattere, e pochissimo si curano delle altre parti del corpo, così mi si deve concedere di interessarmi di più di quelli che sono i segni dell’anima, e mediante essi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad altri la trattazione di grandi imprese”.
Così Plutarco in apertura della Vita di Alessandro.
Esistono piccole storie, che raccontano molto di più di gesta eroiche, perché rivelano l’anima delle persone che le hanno vissute, e racchiudono il senso profondo e ultimo di molte altre storie, se non tutte.
Eccomi allora a narravi di una telefonata per così dire di servizio tra una docente in crisi e il suo gioioso alunno di prima.
Luigi (nome di fantasia) stava cercando di chiamarmi, ma continuava a trovare occupato.
Finalmente si è aperto un varco e siamo riusciti a sentirci per una questione che io stessa gli avevo chiesto di risolvere riguardante l’intera classe. Siccome sarebbe stato necessario un ulteriore incontro telefonico, con la gentilezza e il garbo di sempre, mi chiede se esiste un’ora in cui sono libera, per non sovrapporsi ad altre eventuali chiamate più urgenti.
Rispondo che passo intere giornate al telefono, “un po’ per lavoro e un po’ per amicizia”. Lo invito quindi ad insistere fiducioso, là dove trovasse occupato.
Proprio al momento dei saluti la piccola ma rivelatrice epifania: “Prof., ma lei, quando mi telefona - chiede Luigi, dopo aver superato una piccola esitazione – lo fa per lavoro o per amicizia?”.
“Per tutte e due le cose” rispondo.
“Ah, grazie, prof., è quello che volevo sentirmi dire”, mi arriva da una voce squillante.
Per riprendere la metafora di Plutarco, il corpo pesante e disarmonico della didattica ai tempi del Covid-19, che tante ansie e interrogativi suscita in noi docenti, si assottiglia e armonizza nella domanda di Luigi.
Si è compiuta, tra le tante, in questi giorni, una vera e propria rivoluzione copernicana: è la scuola ad essere entrata nelle case degli alunni, è la scuola che si è messa in cammino, è la scuola che chiama. Lo fa certamente e giustamente “per lavoro”, è quello che i ragazzi si aspettano, mi verrebbe da dire vogliono. Ma la nostra chiamata deve essere sempre anche “per amicizia”, che nei giorni bui vuol dire più che in altri affetto, ascolto, comprensione, prossimità, perché anche questo i nostri alunni legittimamente si aspettano da noi, quando facciamo lezione esattamente come quando li valutiamo.
Si tratta di trovare il giusto equilibrio tra le parti, ma sono spesso i ragazzi ad aiutarci, anche in questo difficile e prezioso gioco di pesi e misure.
Prof.ssa Lucina Alice
Ultima revisione il 17-09-2024