Guardando si impara


GUARDANDO SI IMPARA

Spinto dalla necessità di spezzare i ritmi monotoni di queste giornate forzatamente inattive, mio figlio ha deciso di preparare una crostata. Ha scelto una ricetta semplice, con pochi ingredienti ed eseguibile in poco tempo. Trascorso un minuto dall'inizio dell'esperimento ho cominciato a rispondere alle sue domande: "Dov'è la farina?", "Quanto deve essere grande la ciotola?", "Ho tutta la pasta appiccicata alle mani, come faccio a recuperarla?". A questo punto si è reso conto che da solo non ce l'avrebbe fatta. Allora gli ho mostrato che basta un po' di farina sulle mani per ripulirle e, allo stesso tempo, recuperare tutto l'impasto. Questi "trucchetti" non sono scritti sulle ricette: per poterli carpire devi osservare qualcuno che abbia più esperienza di te, mentre svolge quelle stesse azioni. Guardando si impara.

Ecco perchè, negli ultimi anni, spopolano sul web i tutorial: un conto è leggere la ricetta, un altro osservare qualcuno mentre la esegue.

Alcuni giorni fa la mia lavatrice non ne voleva sapere di far girare il cestello. Ho chiamato il tecnico che ha pronunciato la diagnosi "a distanza": si tratta della cinghia. Sono andata a leggere le istruzioni per cambiarla: alla seconda riga ho deciso di riununciare. Poi mi è venuto in mente di guardare un tutorial: davvero è così semplice? In effetti, quando la cinghia nuova mi è stata recapitata a casa ci sono voluti due minuti per installarla. Guardando si impara.

I neurofisiologi ci insegnano che esistono tre diversi modi per imitare e quindi ripetere l'esecuzione di un gesto osservato: quello automatico, quello facile e quello difficile.

L‘imitazione automatica è la tendenza a riprodurre, senza che ce ne rendiamo conto, quello che fanno gli altri. Si tratta, più che altro, della ripetizione di gesti molto semplici in maniera involontaria: se osservo qualcuno sbadigliare, sarò indotta a sbadigliare anch'io.

Ben diverso è eseguire consciamente un'azione dopo averne osservata una simile: il livello di convolgimento dei nostri circuiti nervosi è molto più complesso ed elevato. In questo caso, tuttavia, possiamo eseguire un movimento che sappiamo già eseguire (imitazione facile), e quindi l'attività cerebrale è ridotta, oppure possiamo impegnarci nell'esecuzione di un'azione mai eseguita prima (imitazione difficile), il che comporta un'attività cerebrale maggiore. Solo in quest'ultimo caso si può parlare di apprendimento.

Wolfgang Prinz, psicologo cognitivo tedesco, direttore del Max Planck Institute di Lipsia, ha osservato che, quanto più l'azione da imitare è simile al modello, tanto più siamo rapidi e precisi. Ad esempio, è molto facile sollevare un dito mentre osservo un'altra persona che sta compiendo lo stesso gesto; è, invece, molto difficile abbassare il dito mentre l'altro lo sta alzando. Partendo da questa osservazione e utilizzando tecniche di risonanza magnetica funzionale (fMRI), Wolfgang Prinz e Giacomo Rizzolatti, eminente neuroscienziato e docente di Fisiologia presso l'Università di Parma, hanno dimostrato la presenza, in tre diverse aree della corteccia motoria del cervello umano, di particolari neuroni che si attivano non solo quando il soggetto compie una determinata azione, ma anche quando egli osserva un'altra persona svolgere la stessa azione: per questo motivo tali neuroni sono stati definiti neuroni specchio. Quando osservo qualcuno alzare un dito, si attivano nel mio cervello dei neuroni specchio che codificano l'atto osservato e lo trasformano nell'esecuzione di un gesto identico, per cui anch'io alzo il dito; quando invece devo abbassare un dito mentre altri lo alzano, sono costretta a bloccare l'azione immediata e spontanea dei neuroni specchio, il che rende il mio gesto più lento e difficoltoso.

Il sistema dei neuroni specchio è coinvolto non solo nell'imitazione facile, ma anche in quella difficile, a cui segue l'apprendimento. Lo ha dimostrato sempre Rizzolatti, insieme ai ricercatori di Parma e a Stefan Vogt del Jülich Reserch Center. Utilizzando ancora la fMRI, hanno osservato il cervello di persone che non avevano mai suonato la chitarra, mentre apprendevano i primi rudimenti da un maestro. Il sistema dei neuroni specchio si attivava durante l'osservazione del maestro che eseguiva gli accordi, durante la pausa che precedeva il tentativo di esecuzione e durante l'esecuzione stessa. Rizzolatti interpreta la scarica neuronale durante la pausa, come un processo di rielaborazione dei movimenti da eseguire; infatti dimostra che, in contemporanea, si attivano anche neuroni del lobo frontale, coinvolto nelle funzioni di pianificazione e memorizzazione dei movimenti. Ciò conferma che nell'apprendimento non è certamente coinvolto il solo sistema dei neuroni specchio, ma anche i circuiti dell'attenzione e della memoria, oltre che sistemi inibitori, senza i quali passeremmo le giornate a ripetere i gesti osservati.

I neuroni specchio non sono presenti soltanto nelle aree motorie del nostro cervello, ma anche in quelle dedicate alle emozioni: i neuroni che si attivano quando si prova dolore, una piccola scarica elettrica, negli esperimenti, si attivano anche quando un individuo osserva lo sperimentatore che accosta un elettrodo alla pelle di un altro individuo, anche senza che ques'ultimo subisca la scarica. Succede lo stesso per altri tipi di emozione come l'imbarazzo, l'umiliazione o il disgusto.

Lo studio del sistema dei neuroni specchio mi affascina da anni e, mentre mio figlio imparava a fare la crostata, e i miei alunni lamentavano il fatto che ascoltare le videolezioni sia più faticoso che ascoltare il docente in classe, mi sono chiesta quali insegnamenti potessimo trarre dalle tesi di Rizzolatti ai fini della didattica a distanza.

Quando, in ambito scolastico, si parla di apprendimento, ci si riferisce solo marginalmente ad attività di ripetizione di gesti osservati: penso ai laboratori o alle scienze motorie; in genere, invece, l'apprendimento è veicolato dal linguaggio. È innegabile l'importanza del linguaggio non verbale: gesti, postura, espressioni del viso, contatti oculari, sicuramente attivano le aree delle emozioni che coinvolgono, come detto sopra, i neuroni specchio. Certamente gli alunni percepiscono, osservando il docente, se è stanco o arrabbiato e, viceversa, per il docente è importante l'espressione del viso dei propri studenti per verificare se hanno colto il senso di una domanda o hanno intuito come svolgere un esercizio. Tuttavia, l'empatia tra chi parla e chi ascolta si basa principamente sul linguaggio paraverbale, ovvero il modo in cui qualcosa viene detto: tono della voce, velocità con cui si parla, timbro, volume. La stessa frase può essere pronunciata con tono pacato o adirato o sarcastico e suscita, quindi, nell'ascoltatore emozioni differenti, che coinvolgono sempre il sistema dei neuroni specchio.

Quale di questi aspetti viene a mancare nella didattica a distanza? Il linguaggio paraverbale mantiene il proprio ruolo. Invece la possibilità di cogliere il linguaggio non verbale si riduce molto se l'osservazione degli studenti avviene attraverso un video e si annulla completamente nel caso in cui la lezione sia registrata. Sarebbe quindi da preferire la lezione in modalità sincrona. Tuttavia ci sono altri aspetti più pratici di cui tenere conto che giocano a sfavore di quest'ultima: numero di studenti collegati in contemporanea, controllo dell'attività e del comportamento degli stessi, tempi morti, difficoltà nei collegamenti, tutti fattori che limitano enormemente la lettura del linguaggio non verbale e rischiano di influire negativamente su quello paraverbale. La soluzione sta, come sempre, nel mezzo: sarà opportuno scegliere la modalità più adatta, sincrona o asincrona, a seconda della classe, dell'argomento da affrontare, del tipo di attività da svolgere.

Ritengo, comunque, che le difficoltà manifestate dai miei studenti non dipendano dalla scelta della modalità, ma da errori di pianificazione. Ricordate l'esperimento dei principanti che imparavano a suonare la chitarra? I neuroni specchio scaricavano nella fase dell'osservazione, ma anche nella pausa e durante l'esecuzione e l'attività più intensa si riscontrava nella pausa. Questo significa che, quando si apprende, l'organizzazione del tempo è strategica: un tempo per ascoltare il docente che spiega, che sia dal vivo o meno, un tempo per meditare, assimilare, elaborare ed un terzo tempo per eseguire, ovvero mettere in atto quanto si è studiato, che sia l'esecuzione di un esercizio o la ripetizione di un argomento. Il primo tempo è fondamentale: l'intervento del docente ci deve essere, in qualità di mediatore tra il testo e lo studente; sono pochi gli adolescenti in grado di affrontare autonomamente lo studio di un libro di testo. Non dimentichiamo poi la funzione educativa del docente, che supera quella di trasmissione delle conoscenze e delle competenze. Tuttavia quello che viene a mancare oggi è il tempo centrale, quello della "pausa", che è il più importante, anche se non sembra, perchè è quello in cui i neuroni lavorano più intensamente.

Voglio quindi dire ai miei studenti: riappropriatevi dei tempi scolastici, fate in modo che le vostre attività di studio siano delimitate da un perimetro che impedisca l‘ingresso alle persone e alle attività di casa, distinguete nettamente i momenti destinati alle lezioni dall'attività autonoma, sfruttate i momenti di "pausa", lasciando produrre ai vostri neuroni le soluzioni migliori e fidatevi dell’esperienza dei vostri docenti, che sapranno indicarvi la strada anche in questo momento storico assolutamente anomalo.

Ricordate, inoltre, che l’apprendimento muove dall’osservazione che, in senso più lato, non è altro che trasmissione di conoscenze e competenze da chi ha maggiore esperienza a chi ne ha meno. Guardando si impara.

Prof.ssa Monica Lupori