Una casa nel tempo dell'esilio
Sempre mi è parso erroneo il nome che ci hanno dato: emigranti.
Questo significa: espatriati. Ma noi
non siamo espatriati volontariamente
altro paese scegliendo. E nemmeno siamo espatriati
in un paese, per restarvi, possibilmente per sempre.
Siamo fuggiti, invece. Espulsi noi siamo, banditi.
E non casa, ma esilio dev’essere il paese che ci ha accolti.
Cosí, inquieti, prendiamo stanza, se possibile presso ai confini,
aspettando il giorno del ritorno, qualsiasi minimo cambiamento
oltre il confine spiando, ogni nuovo venuto
febbrilmente interrogando, nulla dimenticando e a nulla
rinunciando
e neanche perdonando nulla di quel che è successo, nulla
perdonando.
Ah, il silenzio del Sund non ci inganna! Noi udiamo le grida,
fin qui, dai loro campi di concentramento. Noi stessi siamo
quasi come voci dei misfatti, che varchino
i confini. Ognuno di noi
che va attraverso la folla con le sue scarpe consunte
testimonia della vergogna che ora macchia il nostro paese.
Ma nessuno di noi
rimarrà qui. L’ultima parola
non è stata detta ancora.
(Bertolt Brecht, Sulla qualifica di emigrante)
Cari studenti, cari insegnanti, cari genitori, oggi non è solo l’inizio di un calendario scolastico. È l’apertura di un tempo nuovo, fragile e potente, in cui ognuno di noi porta con sé qualcosa che non si vede: una lingua che cerca casa, una domanda che non ha ancora risposta, una speranza che non ha ancora nome. La poesia di Bertolt Brecht parla di chi è stato cacciato, di chi non ha scelto di partire, ma ha dovuto farlo. Parla di esilio, di confine, di attesa. E parla anche di noi. Perché anche qui, oggi, ci sono studenti che arrivano da lontano, non solo in chilometri, ma in esperienze, in silenzi, in sogni. Ci sono insegnanti che cercano parole nuove per accogliere, genitori che sperano in un luogo dove i figli possano fiorire.
La scuola può essere molte cose: una stanza chiusa, dove si ripetono formule e regole, oppure un varco, un ponte, un laboratorio di futuro. Ernst Bloch diceva che Heimat, la patria, non è dietro di noi, ma davanti. È ciò che ancora non esiste, ma che possiamo costruire insieme. Nel tempo della distruzione dei corpi e dei luoghi, nel tempo dell'esilio in cui le case e le scuole vengono bombardate, vi sono case non fatte di mattoni o confini, ma di dialogo autentico. Luoghi dove abitare ogni volta che qualcuno ci interpella con curiosità, con desiderio di capire, con voglia di costruire senso.
E allora che questa scuola sia il luogo dove nessuno si senta ospite, dove ogni voce abbia spazio, dove ogni differenza sia seme e non ostacolo. Che sia il luogo dove si impara non solo a risolvere equazioni, ma a riconoscere lo sguardo dell’altro, a dare nome alla propria inquietudine, a trasformare il sapere in cura. L’ultima parola, dice Brecht, non è stata detta ancora. Che sia questa scuola a pronunciarla: una parola che non esclude, una parola che accoglie, una parola che comincia. Buon inizio a tutti. Che sia un anno di conoscenza, ma anche di coraggio. Che sia un anno di scuola, ma anche di Heimat.
Ultima revisione il 10-09-2025