La speranza come promessa di futuro

Spero, promitto e iuro vogliono l'infinito futuro.

È una di quelle litanie che rimangono impresse nella memoria, piccole formule che ci accompagnano dai banchi di scuola. Eppure, dietro questa regola grammaticale si nasconde una verità profonda che attraversa i millenni: la speranza non vive nel presente, non si accontenta del passato. La speranza esige il futuro, lo convoca, lo costruisce con le parole.

Spero – non "ho sperato" né "spero ora", ma spero per il domani. La lingua latina, nella sua precisione architettonica, ci costringe a proiettare lo sguardo oltre l'orizzonte. Sperare è un atto che trascende l'istante, che si lancia verso ciò che ancora non è ma che può essere. È un gesto di fede nel tempo che verrà.

Promitto – la promessa richiede il futuro perché è vincolo, è impegno che lega oggi a domani. Promettere è tessere un filo tra il presente e ciò che sarà, è assumersi la responsabilità di dare forma al tempo che ancora non esiste. La promessa crea il futuro pronunciandolo.

Iuro – il giuramento suggella questa alleanza con il domani. Giurare è rendere sacro il futuro, è dichiarare che ciò che ancora non c'è ha già il peso della verità, la solidità di un impegno che vincola l'anima.

La grammatica latina non è solo esercizio formale. E' educazione al futuro. Ci insegna che certi verbi – quelli che riguardano la nostra dimensione più profondamente umana – non possono che guardare avanti. Non possiamo sperare al passato o promettere al presente. La speranza è sempre proiettata oltre, è sempre un infinito che ancora deve compiersi.

Quando Lucilla Giagnoni porta in scena "La Speranza", costruisce esattamente questo: un ponte grammaticale tra presente e futuro, tra il buio che ci circonda e la luce che dobbiamo svelare. Le sue parole, accompagnate dalle voci di Etty Hillesum, Mary Oliver, Clarice Lispector, Emily Dickinson, Leopardi, Péguy, Padre Turoldo e Dante, non si limitano a descrivere la speranza – la coniugano al futuro.

Vivere nella speranza significa "operare nel presente, facendo nuove le cose", significa "condividere il dinamismo del mondo, mirando ad un Oltre che è già qui". La speranza non è attesa passiva, ma azione che orienta il futuro. È uno sguardo capace di "immergersi nella vita fino alle profondità più buie, riemergere alla luce" e ricominciare.

Lo sguardo poetico, come ci insegna lo spettacolo, è sempre voce di speranza perché la poesia – come la grammatica latina – sa che le parole hanno il potere di creare realtà. Spero, promitto e iuro vogliono l'infinito futuro perché la speranza, la promessa e il giuramento sono gli strumenti con cui l'essere umano trasforma il possibile in reale, il desiderio in progetto, l'oscurità in luce. Questa è la beatitudine a cui ci spalanca la Speranza: non la felicità semplice e immediata, ma quella felicità che si costruisce coniugando il futuro, giorno dopo giorno, parola dopo parola, speranza dopo speranza.

Vivere nella Speranza, come ci ricorda Giagnoni attraverso i suoi maestri, è fare del futuro una promessa che manteniamo nel presente.

Nell'ambito della rassegna “Il teatro al femminile: voci”

Teatro Romualdo Marenco

10 dicembre 2025, ore 21

LA SPERANZA

di e con Lucilla Giagnoni

Ultima revisione il 17-11-2025