Il nostro 8 marzo

Questo 8 marzo 2022 voglio dedicarlo alle donne ucraine che lottano, resistono, fuggono, muoiono, partoriscono, aiutano; alle donne russe che, come Yelena Osipova a ottant’anni, scendono in piazza con il loro cartello per chiedere la pace; a tutte le donne del pianeta che dimostrano, con le parole e le azioni, che non deve per forza vigere la legge del potere, dei soldi, della conquista, del sopruso: la logica della morte. C’è anche quella della nascita, della generazione.(…)Coincide con il desiderio di realizzare se stessi insieme agli altri, di rispecchiare la propria identità nell’alterità. Consiste nell’aiutare, allungare una mano; nell’ascoltare; nell’accogliere perché la mia storia è la tua.

Così Silvia Avallone in un articolo sul Corriere del 7 marzo.

Leggendo queste parole non ho potuto fare a meno di pensare alle donne dell’epica e del teatro greco, o forse sono loro che sono venute da me, hanno bussato alla mia porta, mi hanno chiesto udienza. Ma non è importante stabilire chi va e chi resta, ammonisce Christa Wolf nella prefazione alla sua Medea: è sufficiente tendere le mani, raccontare e prestare orecchio alle nostre e altrui pene, alla sofferenza di oggi come di ieri.

Ogni volta che una donna ucraina o russa dice addio al suo compagno, padre dei suoi figli, rivive in lei Andromaca, che, accompagnata da un’ancella con in braccio il piccolo Astianatte, cuore ingenuo, è corsa incontro ad Ettore presso le porte Scee, per supplicarlo di non andare in battaglia, per scongiurarlo di sottrarsi ad una guerra che già le ha inflitto una lunga catena di lutti familiari. Andromaca rivendica con la forza della disperazione le ragioni del sentimento che vede nella famiglia un valore assoluto, inconciliabile con l’eroica logica dell’onore. Esistono anche doveri affettivi, che vanno riconosciuti e rispettati, capaci essi stessi di costruire e reggere un mondo altro. Ettore, dopo aver congedato la moglie, invitandola a tornare a casa, le ricorda che la guerra è affare degli uomini, e va incontro al suo destino di morte senza più guardarla, Andromaca invece si volta indietro, e piange, nella consapevolezza che un’altra strada sarebbe possibile.

Bello e buono e vero è anche l’universo di Nausicaa, sotto il segno dell’ospitalità, del cuore e delle porte aperte a tutti i naufraghi, di terra e di mare. La principessa dei Feaci vede in Odisseo nudo, incrostato di salsedine e di dolori, un esempio della infelicità umana che Zeus assegna a ciascuno; gli riconosce saggezza e nobiltà, dignità di uomo, per quello che Odisseo le dice, al di là di ciò che di sé può mostrare. Alle ancelle che scappano spaventate alla vista di un eroe che somiglia ormai a un relitto, e a tutti noi, quando ci voltiamo dall’altra parte, per paura, per indifferenza, o per stanchezza Nausicaa grida: “Fermatevi, dove fuggite alla vista di un uomo? Pensate forse che sia un nemico? (…)Questo è un infelice che arriva qui errante, bisogna averne cura. Stranieri e mendicanti vengono tutti da Zeus, ciò che ricevono, anche se poco, è gradito. Allo straniero offrite, ancelle, da mangiare e da bere, fatelo lavare nelle acque del fiume, al riparo dal vento”.

Anche Antigone, quando dà simbolica sepoltura al corpo del fratello Polinice, contravvenendo all’editto di Creonte, vuole porlo al “riparo dal vento”, il vento dell’odio, dell’oppressione del potere, della cieca pratica della forza e della violenza. Antigone trova un fratello là dove Creonte vede solo e ancora un nemico della patria: è consapevole che ai defunti è dovuto rispetto e che la morte ci riporta tutti allo stato di verginità presente in due soli momenti della vita, quello della nascita e quello della fine. Due momenti in cui l’uomo è inerme, vulnerabile e incapace di commettere il male. Di fronte a questa nudità c’è un solo atteggiamento possibile: il perdono e il rispetto uniti nella cura tributata a un corpo che ha condiviso la condizione umana. E attraverso la sua disobbedienza, così come Yelena Osipova, continua a dimostrarci che l’orizzonte della disgrazia non è mai senza via di uscita, e che lo spirito di resistenza segna sempre una vittoria, almeno del pensiero.

“Non sono nata per condividere odio, ma per amare con chi ama”. Queste sono le parole con cui Antigone segna tutta la sua distanza da Creonte, ma potrebbero stare benissimo anche in bocca a Lisitrasta, l’eroina di Aristofane, che già porta nel nome la sua religione, “Colei che scioglie gli eserciti”. Esasperata da vent’anni di guerra voluta dagli uomini, la giovane ateniese convoca le cittadine di tutta la Grecia e propone un piano per far cessare il conflitto: le donne non faranno più l’amore con i mariti finché non sarà stipulata la pace. Alla fine raggiungono il loro obiettivo: gli Ateniesi sono fiaccati dall’astinenza e anche da Sparta giunge un’ambasceria disposta alla capitolazione. Lisistrata sa, come sanno le donne ucraine e russe, che sono loro a sopportare il peso della guerra più del doppio degli uomini. In primo luogo perché partoriscono i loro figli e poi li mandano a fare i soldati, e poi perché quando potrebbero essere felici e godersi la giovinezza dormono sole. Quante ragazze inutilmente invecchiano nelle loro stanze?

Più di tutti le donne , per dirla con Dostoevskij, sono consapevoli che la vita è un paradiso e noi tutti siamo in paradiso, ma non vogliamo capirlo; e invece, se volessimo capirlo, domani stesso il mondo intero diventerebbe un paradiso.

Lucina Alice